Titolo epifanico, nell’incombere delle festività natalizie, nel segno di questo ventosissimo solstizio d’inverno, quello di un prezioso volume di versi da riprendere, centellinare e magari regalare, e sono le poesie di “Azzurro elementare”, composte, nell’arco di tempo che va dal 1992 al 2010, dal poeta friulano Pierluigi Cappello (1967- 2017).
“Poeta del crocevia”, così la regista e sceneggiatrice romana Francesca Archibugi lo definisce. Poesie dell’incanto e del dolore, intrise di mirabile fatica ed eroismo quotidiani. Poesie bellissime della vita e del suo miracolo, da leggere e rivivere nella carezza di uno sguardo – e, spesso, più delle parole, è lo sguardo a dirci tutto dell’altro – nel loro anelito alla vita, nel cantarla con trepida dolcezza e senza mai farsi illusioni.
Poesia di un bambino di tre anni in un giardino d’inverno, “ed è una nuvola con il berretto” a saltare, portata da mani piumate; poesia di speranza: “la speranza è nel gesto, papà, / senza radice e puro/ dalla tua mano alla mia/ dalla mia mano alla tua/ lo splendore di un frutto maturo”; poesia pura delle umili “Pratoline”, fiorite “in ferocia e purezza”, nei versi dedicati alla piccola Chiara, dove “la meraviglia è nelle cose guardate/ giri una corolla tra l’indice e il pollice,/ l’imprecisione del gesto lascia splendore”.
Parole terse e splendenti di azzurri e di silenzi, per me, sul senso del Dies Natalis, quale sorgente di speranza nel nostro mondo martoriato, la cara, vecchia Terra, così tanto bisognosa di luce, saggezza e amore.
Sono le “Parole povere” della lirica omonima, di “Uno che bussa la mattina di Natale/con una scatola di scarpe sottobraccio”, ed è lo zio di Francia, e sono quelle di “Tramandare”, che rendono fulgide le spalle di Enea, ed immortale il suo fatale andare, parole declinate dal poeta “che promette amore e orlo d’orlo e notte”, indugiando nel silenzio della notte, quando la luna “brilla come un orecchino e il gatto mammone sorride”.
Poesia taumaturgica, ad attingervi “la parte soleggiata di noi stessi”, che induce ancor più a meditare sul valore della parola scritta, sui valori belli e veri che alla scrittura si possono affidare e che essa tramanda e coniuga in sé: “Che cos’è questa parola verdeggiante d’amore/ se non il suolo dove lasciarsi cadere/ la penombra di un bosco da attraversare/ e la mano che si apre e prende la mia/ e mi conduce a me”?
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